
Per secoli, forse millenni, l’orizzonte ha rappresentato per uomini e donne la promessa di terre sconosciute, la speranza di nuove rotte, il confine tra ciò che era noto e l’oltre, l’ignoto. I navigatori e gli esploratori lo hanno seguito con determinazione, credendo che oltre quella linea sfumata potessero trovare nuove risorse, nuove civiltà, nuove possibilità di esistenza. Cristoforo Colombo salpò verso un orizzonte che pensava lo avrebbe portato in Asia e scoprì un nuovo continente. Magellano e il suo equipaggio seguirono l’orizzonte fino a circumnavigare il globo. Amundsen avanzò tra i ghiacci dell’Antartide per toccare punti – il Polo Sud – mai raggiunti prima dall’uomo.
L’orizzonte non è mai stato solo una linea fisica. Per generazioni e generazioni è stato molto di più: una direzione, una promessa, un obiettivo comune verso cui incamminarsi. Alcuni di questi orizzonti sono stati concreti, altri più ideali, ma tutti hanno rappresentato un punto di riferimento condiviso. Penso al progresso scientifico e tecnologico durante l’Illuminismo, che ha posto la ragione e la conoscenza come bussole, dando il via a rivoluzioni industriali e scientifiche. Oppure alla conquista dei diritti umani dal XVIII secolo in poi, che ha spinto l’umanità verso una maggiore giustizia e uguaglianza. O il sogno di raggiungere la Luna e oltre, che ha dato una direzione chiara alle ambizioni tecnologiche del Novecento. O ancora alla lotta per l’abolizione della schiavitù, che ha trasformato società intere e ridefinito il concetto di libertà e dignità umana, o all’alfabetizzazione di massa e l’istruzione pubblica, che hanno permesso a milioni di persone di emanciparsi e contribuire al progresso sociale ed economico delle proprie comunità. Ognuno di questi orizzonti ha mobilitato energie, risorse e speranze. Ma oggi, quale orizzonte stiamo inseguendo?
Ognuno di questi orizzonti ha mobilitato energie, risorse e speranze. Ma oggi, quale orizzonte stiamo inseguendo?
Alex Bellini
L’epoca senza orizzonte
Il nostro tempo sembra caratterizzato da una strana sensazione di mancanza di direzione. Non c’è un’idea chiara di futuro che unisca le persone. Anzi, ci troviamo spesso frammentati, naufraghi disperati e dispersi tra crisi climatiche, conflitti geopolitici, disuguaglianze crescenti e un senso di disorientamento esistenziale. Nietzsche annunciava: “Dio è morto”. Ma se anche Dio è morto, verso quale orizzonte possiamo volgere lo sguardo? Privati di un punto di riferimento assoluto, ci ritroviamo in un’epoca in cui abbiamo strumenti senza una missione, progresso senza una direzione, possibilità infinite ma nessuna meta chiara. Se il cielo si è svuotato, chi o cosa potrà indicarci la rotta? Me lo chiedo spesso. E ogni volta, il pensiero torna ad alcuni particolari giorni in mare aperto, nell’Pacifico nel 2008, quando tutto era immobile, l’aria era ferma, il mare era una tavola piatta. Senza una bussola, sarei rimasto sospeso nel nulla, senza sapere dove dirigermi.
Per secoli, in assenza di altri punti di riferimento, la religione ha offerto una direzione, un ancoraggio, una promessa di senso che orientava l’umanità. Anche chi non credeva viveva comunque immerso in un mondo strutturato attorno a quel sistema di valori. Ma quando quell’orizzonte si dissolve, il vuoto che lascia è vertiginoso. Nietzsche non annunciava la morte di Dio con entusiasmo, ma con inquietudine: temeva un’epoca priva di riferimenti, in cui l’uomo, senza un ordine superiore a guidarlo, sarebbe stato costretto a creare nuovi significati da solo. E oggi? Siamo forse il compimento di quella profezia? Smarrito anche l’ultimo centro di gravità comune, ci aggiriamo tra le macerie di ideali dissolti, incapaci di edificare un nuovo orizzonte collettivo e in questo vuoto cresce la sfiducia, la paura, la divisione, spesso con l’unico scopo di sopravvivere al quotidiano.
Nietzsche temeva un’epoca priva di riferimenti, in cui l’uomo, senza un ordine superiore a guidarlo, sarebbe stato costretto a creare nuovi significati da solo. E oggi?
Alex Bellini
Forse, però, il problema non è l’assenza di orizzonti, ma il loro indebolimento. Il progresso scientifico e tecnologico, che ha illuminato il Novecento, non è più una bussola certa: l’intelligenza artificiale, la robotica e la biotecnologia pongono domande più inquietanti che rassicuranti. La democrazia, conquistata con fatica, è messa alla prova da nuove forme di autoritarismo e populismo. La globalizzazione, che prometteva connessione, ha creato alienazione. L’idea di futuro che non si guarda più con speranza, ma con timore crescente e la sostenibilità, che potrebbe essere l’orizzonte più necessario, fatica a diventare una vera missione comune.
Ritrovare un orizzonte
E allora la domanda è: come possiamo ritrovare un orizzonte comune? Forse l’orizzonte che ci serve non è più quello imposto dall’alto, ma quello che costruiamo insieme. Una direzione che non nasca dalla paura di un vuoto, ma dalla volontà di riempirlo. Qualunque sia l’orizzonte che costruiremo, deve essere qualcosa che ci unisca, che dia senso alle nostre azioni e che ci permetta di guardare avanti con speranza e assieme. Serve costruire una narrazione comune che ci faccia sentire parte di qualcosa di più grande. Dante parlava di “immigliarsi”, di migliorarsi per salire verso il bene. Ritrovare un orizzonte comune significa fare proprio questo: capire che il movimento in avanti, individuale e collettivo, è l’unica vera bussola che ci impedisce di naufragare. Oggi l’orizzonte è ancora incerto. Ma possiamo sceglierne uno. Dobbiamo sceglierne uno. Perché senza un orizzonte, non c’è viaggio. E senza viaggio, non c’è futuro.
E senza viaggio, non c’è futuro.
Foto di Joshua Earle su Unsplash