Navigare nel mondo moderno con l’intelletto di un uomo preistorico
23.09.2024
Ipsos Global Advisor di recente ha realizzato un’indagine tra i cittadini di ventidue paesi dei cinque continenti. Ne è emersa una mappa globale che porta alla luce un un dato importante: quattro persone su dieci mantengono un atteggiamento scettico o apatico di fronte al tema della gestione responsabile di risorse naturali e beni ambientali. Come è possibile?
In un contesto italiano come quello attuale, fatto di un’emergenza ambientale dietro l’altra sconvolge notare come apatia, scetticismo e negazionismo siano ancora risposte molto comuni – tanto tra la società civile quanto tra i rappresentanti della nostra classe politica che, al contrario, dovrebbero mostrare capacità di analisi, giudizio e di programmazione superiore alla media.
La domanda è la stessa: come è possibile?
Considerata la lentezza del nostro processo evolutivo, e la velocità supersonica con cui il nostro ambiente si è trasformato in questi ultimi undicimila anni, non è un azzardo affermare che stiamo navigando nel mondo moderno con l’intelletto di un uomo dell’età della pietra.
Alex Bellini
La psicologia evolutiva offre una prospettiva interessante. Secondo questa branca della psicologia, noi esseri umani moderni abbiamo ereditato i cervelli da nostri antenati più remoti, progettati e attrezzati per risolvere problemi critici e ricorrenti nel Pleistocene, epoca preistorica conclusasi circa undicimila anni fa e durante la quale ha avuto luogo il 99% della storia evolutiva umana. Considerata la lentezza del nostro processo evolutivo, e la velocità supersonica con cui il nostro ambiente si è trasformato in questi ultimi undicimila anni, non è un azzardo affermare che stiamo navigando nel mondo moderno con l’intelletto di un uomo dell’età della pietra.
La psicologia li chiama bias cognitivi e spiegano per quali ragioni psicologiche, anche quando abbiamo accesso alle evidenze scientifiche e comprendiamo la severità della crisi, tendiamo a non agire tempestivamente, rimanendo bloccati sulle nostre convinzioni e ancorati ad abitudini che contribuiscono al degrado ambientale.
Vediamo i più comuni:
- Il bias dell’ottimismo ci porta a credere che le cose brutte abbiano maggiori probabilità di accadere agli altri piuttosto che a noi. Questo crea un falso senso di sicurezza, facendoci pensare che i peggiori impatti del cambiamento climatico non ci colpiranno direttamente, o che avremo molto tempo per reagire. Questa convinzione riduce l’urgenza percepita di agire e impedisce l’adozione di comportamenti più sostenibili.
- Il bias dello status quo è la nostra preferenza a mantenere le cose come sono, resistendo al cambiamento anche quando siamo consapevoli che i nostri comportamenti attuali sono dannosi o insostenibili. Lo sforzo, il disagio o l’incertezza associati al cambiamento del nostro stile di vita diventano una barriera significativa, anche quando i benefici a lungo termine sono chiari.
- Il bias di conferma si riferisce alla nostra tendenza a favorire informazioni che confermano le nostre convinzioni preesistenti, ignorando le prove che le contraddicono. Nel contesto del cambiamento climatico, questo bias può impedire alle persone di accettare la realtà o la gravità del problema. Questo bias può alimentare la negazione del clima e la resistenza alle politiche che richiedono cambiamenti immediati e su larga scala.
- Lo sconto temporale è la tendenza a dare priorità ai benefici immediati rispetto a quelli futuri. È un ostacolo significativo nell’affrontare il cambiamento climatico poiché gli effetti del clima spesso sembrano lontani, mentre i costi delle azioni – siano essi economici, sociali o personali – vengono vissuti e pagati nel presente. Questo pensiero a breve termine ritarda l’azione e porta alla procrastinazione.
- L’avversione alla perdita è il principio psicologico per cui sentiamo il dolore delle perdite più intensamente rispetto al piacere dei guadagni equivalenti. In termini di azione climatica, questo bias porta alla resistenza al cambiamento quando comporta sacrifici di comodità o benefici economici.
- La prova sociale è il fenomeno psicologico per cui le persone guardano agli altri per capire come comportarsi, specialmente in situazioni incerte. Se il cerchio sociale o il “clan” di una persona sminuisce l’urgenza del cambiamento climatico o non adotta comportamenti sostenibili, è meno probabile che quella persona agisca. Il pensiero di gruppo, invece, si verifica quando le persone si conformano al consenso del gruppo per evitare conflitti o dissensi.
- Il bias di distanza si riferisce alla tendenza a dare priorità a problemi che sono più vicini a noi nello spazio o nel tempo rispetto a quelli che sembrano lontani. Questo bias rende più difficile riconoscere che gli eventi meteorologici estremi, le carenze alimentari o sfollamenti, stanno già accadendo e continueranno a peggiorare.
- Il bias di normalità è l’inclinazione a credere che le cose rimarranno sempre le stesse e che le interruzioni dello status quo siano improbabili. Nel contesto del cambiamento climatico, questo bias porta le persone a sottovalutare la probabilità e la gravità di futuri disastri climatici. Molte persone presumono che le loro vite continueranno come al solito, nonostante le crescenti prove che il cambiamento climatico porterà a cambiamenti profondi nei modelli climatici, nella produzione alimentare e nelle economie globali. Questa falsa percezione di normalità inibisce la preparazione proattiva e l’adattamento alle sfide imminenti.
- L’affaticamento decisionale si verifica quando le persone si sentono mentalmente esauste dall’enorme quantità di decisioni che devono affrontare, portando all’evitamento o alla procrastinazione. Questo sovraccarico può portare le persone a disimpegnarsi completamente, credendo che il problema sia troppo grande per essere affrontato individualmente.
- La licenza morale si verifica quando le persone sentono di aver guadagnato il diritto di comportarsi in modi dannosi per l’ambiente dopo aver fatto qualcosa di buono per il pianeta. Questo bias permette alle persone di mantenere comportamenti dannosi per l’ambiente mentre alleviano il loro senso di colpa, indicando le loro occasionali azioni ecologiche.
Il cambiamento climatico ha una penalità di procrastinazione molto alta che cresce con ogni anno di inattività che passa, un po’ come succede se non paghi la tua carta di credito. Ma per il clima, non esiste un nuovo inizio dopo la bancarotta.
William H. Calvin
Questi ed altri bias cognitivi, che si sono evoluti in epoche antiche per garantirci la sopravvivenza, oggi sono il vero ostacolo alla risoluzione della crisi ambientale e climatica. Prendiamo, per esempio, lo sconto temporale ossia la tendenza a massimizzare i risultati immediati e a scartare i risultati futuri, per cui i desideri di oggi prevalgono sui bisogni di domani. Benché oggi questa impulsività sia vista come un grosso limite, ha probabilmente avuto un ruolo importante nella sopravvivenza dei nostri antenati cacciatori-raccoglitori. Se avessero speso troppi sforzi per soddisfare i loro bisogni futuri piuttosto che i loro bisogni immediati, forse avrebbero avuto meno probabilità di trasmettere i loro geni in un ambiente naturale che premiava il più forte.
Le caratteristiche peculiari dei problemi ambientali pongono non pochi problemi alla nostra capacità di compiere le scelte necessarie per affrontarli. Il cambiamento climatico, come ha affermato il filosofo americano Stephen Gardiner, è una tempesta morale perfetta perché comporta la convergenza di almeno tre fattori che minacciano la nostra capacità di comportarci eticamente e che, ancora, hanno a che fare con i bias cognitivi: la dispersione di cause ed effetti, la frammentazione della responsabilità – in quanto il cambiamento climatico non è causato da un singolo agente, ma da un vasto numero di individui e istituzioni non unificati – e l’inadeguatezza istituzionale guidata da cronica miopia che frena l’innovazione e prolunga la procrastinazione.
La procrastinazione non è solo una mossa letale ma è anche costosa, infatti, come ha dichiarato il neuroscienziato americano William H. Calvin: “Il cambiamento climatico ha una penalità di procrastinazione molto alta che cresce con ogni anno di inattività che passa, un po’ come succede se non paghi la tua carta di credito. Ma per il clima, non esiste un nuovo inizio dopo la bancarotta”.